Quale impresa

LA GUERRA IN UCRAINA QUALI CONSEGUENZE PER L’ECONOMIA ITALIANA?

L’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Russia ha cambiato in maniera radicale, e tutt’altro che transitoria, gli scenari di riferimento per governi, imprese e cittadini. Le onde sismiche generate dagli eventi bellici sono destinate ad essere avvertite per molti anni a venire e possono portare a dei cambi di paradigma nelle relazioni internazionali che in pochi avrebbero potuto prevedere appena alcuni mesi fa.

Quando i carri armati russi hanno varcato il confine con l’Ucraina, lo hanno fatto sulla scorta di previsioni strategiche che presupponevano divisioni interne al versante delle democrazie liberali, e di queste sottovalutavano le capacità di reazione (dettate anche, incidentalmente, da una convergenza di cicli politici che il Cremlino ha probabilmente sottostimato nella sua importanza).

A oggi (fine marzo), mentre l’esito del conflitto appare ancora troppo difficile da prevedere con certezza, alcune delle conseguenze della crisi sono già evidenti e permettono alcune speculazioni sui possibili assetti futuri. La crisi ucraina, come noto, ha avuto inizio nel 2014, con l’occupazione della Crimea e l’insurrezione – ispirata e armata dalla Russia – di due province del Donbass.

A seguito di quegli eventi, Stati Uniti, Unione Europea ed altre democrazie liberali adottarono un regime sanzionatorio nei confronti di Mosca che è andato via via consolidandosi al deteriorarsi delle relazioni politiche. L’anno precedente all’adozione del primo pacchetto di sanzioni, il 2013, l’Italia era il secondo esportatore UE verso la Russia, con una quota di mercato del 2,8% e un fatturato totale di 11 miliardi di euro. Nel 2021, e dunque prima dell’ultima tornata di embarghi, il nostro export era diminuito a 7,7 miliardi, un calo di circa il 25%.

Le nuove sanzioni varate in quattro successivi round dall’Unione Europea dopo il riconoscimento da parte di Mosca delle autoproclamatesi Repubbliche del Donbass e la successiva invasione russa dell’Ucraina introducono un regime radicalmente più severo e restrittivo rispetto a quello precedentemente in vigore. Per alcune categorie merceologiche, e per tutti i beni “dual use” si passa da un sistema basato su autorizzazioni rilasciate dalle autorità ad un divieto assoluto di esportazione. L’elenco dei cittadini russi inclusi nella lista dei soggetti sanzionati viene ampliato, e comprende oggi diverse centinaia di personalità politiche e militari, oltre a dirigenti ed azionisti di importanti gruppi. Altre sanzioni riguardano il settore finanziario: dal congelamento delle riserve russe detenute all’estero, all’esclusione di alcune delle principali banche del paese dal sistema SWIFT.

L’elenco delle misure è lungo, e restituisce l’immagine di un’economia quasi del tutto tagliata fuori dai normali flussi commerciali, finanziari e di capitali. Sanzioni analoghe, e talvolta più restrittive, sono state adottate – tra gli altri – da Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone e Corea del Sud.

La storia recente non abbonda di esempi di sistemi sanzionatori altrettanto ampi e comprensivi. L’unico caso cui si può ricorrere, nel tentativo di stimare l’effetto immediato e diretto delle sanzioni sull’interscambio Italia-Russia, è quello dell’Iran, dove si è passati – per effetto delle sanzioni JCPOA – da 7,2 miliardi (2011) a 1,6 (2015), con un calo del76%. Senza alcuna velleità scientifica, si può prendere tale dato come proxy di ciò che potrebbe accadere per effetto delle nuove sanzioni contro Mosca.

Finora abbiamo parlato esclusivamente degli effetti direttamente riconducibili all’entrata in vigore del nuovo quadro sanzionatorio. È evidente, però, che questi rappresentano soltanto una parte, forse persino marginale, dell’impatto che la crisi ucraina sta avendo sull’economia italiana (e non solo).

A parte le difficoltà interpretative dei testi regolamentari, che aspettano ancora di essere consolidati, sono emerse da subito criticità nel tracciamento degli assetti proprietari di clienti e fornitori russi (che potrebbero essere inclusi nella lista di persone fisiche o giuridiche sottoposte a sanzioni), nell’effettuazione e nella ricezione di pagamenti (anche per effetto dell’esclusione di alcune banche dal sistema SWIFT), nella movimentazione delle merci (anche a causa della chiusura degli spazi aerei e della scarsità di vettori). Tutte conseguenze in gran parte attese e prevedibili, che hanno avuto l’effetto di limitare enormemente la capacità delle imprese europee di proseguire le proprie attività in Russia o con controparti russe.

Tra le conseguenze meno attese, invece, c’è senz’altro la reazione di numerose multinazionali al conflitto. È forse la prima volta nella storia recente dell’economia mondiale che un singolo evento, circoscritto nel tempo, ha portato così tante imprese a sospendere le proprie attività su uno specifico mercato in base a considerazioni meramente reputazionali. Con la crisi ucraina, l’impresa precisa la sua centralità come soggetto anche politico, affiancandosi ai governi nella condanna di una flagrante violazione di norme fondamentali di Diritto. È come se la sensibilità delle imprese, maturata nei decenni scorsi su temi civili, ambientali e sociali, avesse trovato una nuova modalità espressiva: un fenomeno probabilmente destinato a durare, ma che nell’immediato ha contribuito – e non poco – all’isolamento del mercato russo dal resto del mondo.

Un discorso a parte meriterebbero gli effetti delle controsanzioni adottate dal governo russo per reazione a quelle inflittegli: dall’obbligo di conversione in rubli dell’80% dei ricavi in valuta conseguiti dopo il primo gennaio 2022, alla minaccia di sequestri, sanzioni amministrative e conseguenze penali per coloro che decidessero di abbandonare il mercato russo. Il quadro è complesso, e soprattutto mutevole: per le circa 440 imprese italiane con stabile presenza commerciale in Russia, gli scenari tradizionali si sono trasformati in terra incognita.

Tralasciamo, infine, gli effetti del conflitto sulla disponibilità di materie prime e semilavorati di importanza critica per l’industria nazionale: non si tratta di sottovalutazione di un tema assolutamente prioritario, ma di una scelta dettata esclusivamente da esigenze di spazio.

Questi alcuni degli effetti – restando confinati all’ambito commerciale – dell’invasione russa dell’Ucraina.

 

Ma quali potrebbero essere, su un orizzonte temporale più distante – le conseguenze della crisi?

È immaginabile che gli assetti internazionali che eravamo abituati a conoscere restino immutati dopo un evento tanto traumatico?

 

Tutto lascia pensare che non sia così.

La guerra in Ucraina ha riportato l’Europa al centro della scena (e delle preoccupazioni) mondiali. Washington, che durante le due amministrazioni Obama si era concentrata in via prioritaria sul Pacifico, e che durante i quattro anni di Presidenza Trump aveva assunto degli atteggiamenti talvolta addirittura antagonistici rispetto all’Unione Europea ed alcuni suoi Stati membri, è stata costretta a ritornare sui propri passi, e ridare priorità all’Europa anche sul tema della sicurezza.

Ciò implicherà per gli Stati Uniti un duplice sforzo di contenimento: verso la Russia, in Europa; verso la Cina, in Asia. Uno scenario in gran parte inedito, che sembrava destinato alla narrazione storica già dalla Presidenza Nixon, e che si ripresenta oggi in maniera se possibile persino più minacciosa. È anche questa la ragione dell’attivismo diplomatico americano di queste settimane: tentare di evitare che l’imperialismo russo si saldi con l’assertività cinese, fino a creare un unico fronte ostile al già indebolito ordine internazionale.

Fino ad oggi, a dispetto di alcune prese di posizione in ambito ONU (in attesa di conoscere gli sviluppi del G20 a guida indonesiana), sembra che Mosca abbia riscosso a Pechino un credito inferiore alle attese, ma è comprensibile come un simile scenario desti preoccupazione a Washington, e non solo. Ed è altrettanto comprensibile l’attenzione con cui da parte americana si guarda al posizionamento dell’India, pilastro del QUAD e uno dei protagonisti della partita che si gioca in Asia-Pacifico.

Gli sviluppi più interessanti della crisi, tuttavia, riguardano principalmente l’Unione Europea: un’Unione che ha saputo reagire in maniera compatta e decisa all’aggressione dell’Ucraina, predisponendo in pochi giorni un sistema di sanzioni che fa dimenticare le esitazioni e le divisioni sorte all’indomani dell’invasione della Crimea; un’Unione che ritrova negli Stati Uniti il suo alleato naturale, ed è pronta a dare sostanza agli impegni assunti anni fa in termini di contributo materiale all’operatività della NATO; un’Europa, infine, che sembra aver capito che libertà e sicurezza si difendono anche grazie a una sostanziale autonomia in settori critici, a cominciare da quello energetico.

La Dichiarazione di Versailles sull’Autonomia Strategica dell’UE, figlia di un brutale atto di aggressione perpetrato nel cuore del continente, potrebbe essere l’atto fondativo di una nuova idea di Europa. Possiamo solo sperare che sia così.