Quale impresa

Sostenibilità, tecnologia e talento: la storia futura di Borsa Italiana. L’intervista all’Amministratore Delegato Raffaele Jerusalmi.

L’ultimo Convegno dei Giovani Imprenditori, che ha visto anche lei sul palco di Genova, ha puntato più che mai la bussola verso il futuro. Quali sono le prossime sfide per Borsa Italiana?

Fare previsioni è sempre la cosa più complicata. Borsa italiana, come tutte le società che svolgono attività di infrastruttura nei mercati finanziari, a mio parere deve affrontare tre grandi sfide: una tecnologia che potrebbe modificare completamente attività che oggi vengono svolte in un certo modo e che domani potrebbero prendere una forma completamente diversa. Penso, ad esempio, alla distributed ledger che è sostanzialmente alla base della blockchain e che rappresenta un modo nuovo di guardare ad attività e processi non più centralizzati, ma all’interno di un sistema in cui ciascun soggetto, in maniera indipendente, attiva un meccanismo attraverso il quale non vi è un controllore centrale, ma è lo stesso sistema a garantire. Poi c’è la sfida del cosiddetto private market, che si è venuto a creare negli ultimi 20 anni e che negli ultimi 10 ha avuto una forte accelerazione e che di fatto è il mercato dei capitali privati, anche ingenti, alla ricerca di una destinazione, come investimento, che sempre più vanno verso aziende non quotate mentre prima magari trovavano nella borsa l’unico o il principale canale di finanziamento.
La terza sfida è la regolamentazione che, in un mondo come quello delle infrastrutture finanziarie, è uno degli elementi che rende più forti, ma che in futuro potrebbe paradossalmente indebolire. Infatti, anche la regolamentazione dovrà tenere conto di un mercato che è in fase di evoluzione, di cambiamento, dove altri strumenti finanziari arrivano con molta velocità e che chi deve regolare il mercato deve tenere in considerazione. In questo senso una cosa è sicuramente fondamentale: la velocità nel sapersi adeguare a questi cambiamenti.

Nello scacchiere delle possibilità, per una azienda, come collocare il venture capital e l’approdo in Borsa?

Il venture capital è uno dei tanti componenti del cosiddetto mercato privato e si rivolge alle imprese nella fase iniziale della loro vita e finché non assumono una certa dimensione, per poi passare a round di finanziamenti più importanti che di solito vengono svolti dal private equity nelle fasi più avanzate dello sviluppo. La quotazione in Borsa consente di avere trasparenza nei confronti dei propri stakeholder e di attirare talenti che amano la competizione.: il fatto di essere quotati permette di avere un riferimento quotidiano sul valore della società e di paragone con i propri competitor. Da questo punto di vista, infatti, manager più bravi molto spesso cercano di andare a lavorare in società quotate. Questo comunque sta in parte cambiando perché anche il mercato privato offre meccanismi di incentivazione che sono altrettanto interessanti.

La rappresentatività delle aziende quotate è molto bassa nei principali mercati, penso ad esempio agli Usa. Eppure, in Italia il trend è in controtendenza…

Esatto, negli ultimi 10-15 anni i dati segnano una riduzione del numero di aziende quotate a livello mondiale, molto visibile proprio negli Stati Uniti. Il trend ci dice che oggi le aziende quotate che più facilmente stanno sul mercato sono grandi. Quindi le piccole e medie imprese tendenzialmente sono meno presenti. D’altra parte, le borse hanno mantenuto più o meno la stessa dimensione in termini di capitalizzazione, perché i grandi sono diventati molto più grandi e le aziende che sono uscite, sono andate via dalla borsa per diventare realtà private gestite al di fuori del mercato. In Italia il trend è in controtendenza, invece, probabilmente perché da una parte abbiamo un mercato meno sviluppato rispetto agli Stati Uniti, dall’altro il numero di aziende in crescita, con una dimensione di capitalizzazione, rimane più o meno costante e, al contrario degli Usa, e non abbiamo realtà molto grandi.

Che impatto hanno avuto la pandemia da Covid-19 e il lockdown su Borsa Italiana?

Per la natura della nostra attività, in particolare dopo l’attentato alle Torri Gemelle, abbiamo dei piani di emergenze e abbiamo fatto tutta una serie di ragionamenti su cosa potrebbe mettere a repentaglio il funzionamento dei mercati. Anche se mai avremmo potuto prevedere la tipologia di crisi, il Covid-19 può essere assimilato ad un evento disastroso e rispetto alla nostra infrastruttura siamo riusciti a gestire il mercato da casa, essendo ormai organizzati da anni con lo smartworking. Dal punto di vista economico abbiamo avuto un anno record e le previsioni per il 2021 sono altrettanto positive. In generale, nella drammaticità della pandemia, molte aziende hanno potuto accelerare i piani di digitalizzazione rafforzando la loro posizione.

Oltre la digitalizzazione c’è il tema della sostenibilità. Quando si parla di finanza sostenibile cosa si intende?

Mi fa molto piacere questa domanda perché noi siamo stati la prima borsa al mondo ad aver organizzato degli incontri tra investitori e società quotate finalizzati a discutere esclusivamente di temi legati alla sostenibilità dapprima con i Sustainability Day, poi diventati Sustainability Week, in cui discutere di come monitorare il lavoro rispetto a parametri che diventano sempre più importanti. La finanza sostenibile fa parte di un percorso sempre più ampio legato a fattori come il clima e il riscaldamento, ma anche a temi sociali, ossia a come l’impresa riesce a dare un contributo positivo al di là della sua attività principale. È qualcosa di importante, che può dare beneficio a livello globale e il fatto che gli investitori mettano sotto la lente questi aspetti ha degli effetti positivi e crea un circolo virtuoso che sarebbe altrimenti difficile da generare. È un meccanismo di incentivo e disincentivo che rende gli imprenditori e le aziende in generale sensibili e in grado di trarne dei vantaggi economici.

Ed è anche un tema caro alle nuove generazioni…

Esattamente. Loro sono la cosiddetta spinta dal basso che diventa fondamentale poiché oggi una persona che cerca lavoro ha molta sensibilità su questi temi e se l’azienda non è in grado di rispondere a questa esigenza, può perdere l’occasione di attrarre i migliori talenti e i giovani con maggiori capacità. Noi abbiamo cercato di dare l’esempio: non c’è più plastica in azienda, il 100 per cento dell’energia che alimenta Borsa Italiana e i suoi sistemi viene da energia rinnovabile. Si tratta di piccole azioni che possono dare un esempio positivo a chi ci sta intorno. E credo che sia questo lo spirito che deve animare le aziende che operano nel settore finanziario.

Trovare il proprio purpose, agire per generare impatto: sono sfide per le aziende di domani, ma soprattutto per le persone. Quali competenze e soft skill bisogna avere oggi per guidare una impresa?

Il leader non è più qualcuno che deve stare ai vertici di una piramide, ma è qualcuno che deve stare seduto in cerchio con gli altri e in qualche modo avere un approccio molto più comunicativo e collaborativo con tutti i colleghi. È una figura sempre più difficile, perché stare in cima alla piramide da’ tutta una serie di vantaggi come decidere e fare, che possiamo considerarlo il ‘vecchio modo’ di gestire l’azienda. Oggi, per la complessità nella quale ci troviamo ad operare e per la carenza di competenze che si vengono a creare nei leader, anche solo per fattori anche anagrafici, quell’approccio non funziona. Quindi bisogna mettersi al livello di tutti i colleghi e cercare di trarre da ciascuno il meglio, altrimenti la probabilità di fare errori fatali è dietro l’angolo. Per alcune generazioni che hanno fatto un certo percorso di apprendimento e di carriera, ma magari non sono native digitali, è difficile stare al livello dei cambiamenti. Ma è proprio in questi casi che serve un nuovo approccio, più trasversale.

Che ruolo gioca la comunicazione, in una azienda come Borsa Italiana, e che evoluzione ha visto nel tempo?

La comunicazione è completamente cambiata. Sono in Borsa Italiana da 23 anni, prima era molto più istituzionale, mentre oggi – anche per effetto dei social – è più rapida e il time to market è immediato. Se c’è una notizia, viene immediatamente comunicata e credo che la comunicazione del futuro andrà sempre più in questa direzione. Ognuno sceglierà quale strada intraprendere e poi sarà anche il pubblico a decidere quali saranno gli strumenti più efficaci.

Che caratteristiche spiccano, a suo parere, nell’attuale classe di imprenditori, soprattutto tra i più giovani?

In generale, le nuove generazioni sono più competenti da un punto di vista tecnico. Spesso hanno maggiori capacità di visione rispetto ai predecessori o ai fondatori delle grandi aziende. Però bisogna considerare che il contesto è cambiato moltissimo. Pensiamo ad esempio a chi ha fatto azienda nel dopoguerra e si è trovato in una situazione da un certo punto di vista molto più difficile, ma da un altro molto più facile. Allora magari non c’erano competitor, per cui se entravi in un settore, nel momento giusto, potevi trarre delle posizioni di vantaggio competitivo e mantenerle per molti anni e allo stesso tempo riuscire a crescere. Oggi si basa tutto sulla velocità di esecuzione, la precisione e la capacità di assorbire questo sviluppo tecnologico così rapido. È più difficile, da un certo punto di vista, perché c’è molta più competizione, più informazione da gestire che circola molto più rapidamente e non è semplice mantenere posizioni di tipo monopolistico in mercati che sono ormai lontani da questa forma. Sicuramente tutto ciò mette molta pressione alle società esistenti e anche settori distanti da quello tecnologico possono essere stravolti in tempi rapidi.

Parlando di persone e talenti, cosa cerca principalmente nei suoi collaboratori?

Oltre alle competenze, sicuramente la condivisione dei valori aziendali: integrità, lealtà, capacità di lavorare insieme. E poi valori culturali uniformi e profondi il più possibile, come l’attenzione al prossimo e alle esigenze dei colleghi, perché alla fine sono queste le cose che contano di più. E finora, devo dire, ci siamo riusciti!