
Vicepresidente della Luiss Guido Carli, già ministro della Giustizia e rappresentante speciale della Presidenza Osce per la lotta alla corruzione, Paola Severino guiderà la Scuola Nazionale dell’Amministrazione: “Servono nuove classi dirigenti che sappiano dialogare”.
Professoressa, una vita dedicata all’educazione e alla formazione, professionale, accademica, nelle istituzioni, a livello nazionale e internazionale. Quando è iniziato tutto?
Ho cominciato a occuparmi di formazione lavorando sul tema della corruzione. È stato in quel momento che ho compreso quanto fosse importante, soprattutto in confronto ad altri Paesi del mondo, dare ai più giovani una formazione anticorruzione affinché la legalità e il merito diventassero il loro leitmotiv.
Negli ultimi 18 mesi il mondo ha vissuto una serie di accelerazioni, nel lavoro, nelle relazioni e in tanti altri aspetti della vita quotidiana, che richiedono una spiccata capacità di imparare ad imparare. In che modo accompagnare questo cambiamento?
La formazione ha un ruolo centrale nella vita di ognuno e per la società. Il lavoro fatto con la Ministra dell’Istruzione Maria Cristina Messa e con il Supervisory Board che mi ha chiamato a presiedere per attuare una corretta distribuzione delle risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per l’educazione, la scuola e l’università è significativo della grande importanza che l’educazione e la formazione rivestono nel nostro Paese.
Un impegno che l’ha portata a diventare anche Rettore della Luiss Guido Carli fino al 2018 e fino ad oggi Vicepresidente con delega alle Relazioni Internazionali dell’Ateneo.
L’esperienza in Luiss mi ha portato ad allargare la visione e l’orizzonte della formazione, tanto da porre a fondamento della mia strategia “quattro i”: internazionalizzazione, interdisciplinarità, impresa, istituzioni. Oggi la Luiss vanta accordi con più di 310 università partner in 64 Paesi del mondo. E questo, oltre ad essere motivo di orgoglio per tutti noi, ha segnato una crescita straordinaria nelle classifiche internazionali delle Università, ma soprattutto la diffusione e l’acquisizione di un modello. Ai nostri studenti diamo la possibilità di fare una esperienza all’estero e ai ragazzi stranieri di venire in Italia per perfezionare i loro percorsi. Non era scontato che ciò accadesse, questo vuol dire che il nostro modello di insegnamento viene percepito come positivo e propositivo.
Qual è, secondo lei, quell’ingrediente in grado di fare davvero la differenza?
Credo sia proprio l’attitudine a creare specializzazioni su una base larga: noi, per tradizione, studiamo in maniera molto ampia gli aspetti storici, politici, geografici, letterari del nostro e degli altri Paesi. E su questo large learning innestiamo le nostre specializzazioni, integrandovi anche elementi che provengono dalle discipline umanistiche. Questo mix viene considerato oggi di grandissimo successo dalle Università anglosassoni, perché consente di costruire specializzazioni su basi più solide: per comprendere a fondo questioni relative ad esempio all’intelligenza artificiale non si può prescindere da fondamentali nozioni di etica, di diritto, o dalla conoscenza della storia.
E, al di fuori dell’Università, come si può esportare questo modello?
Proponendo una formazione attenta alla legalità e a premiare il merito, sia nelle imprese che nella pubblica amministrazione. Lo sviluppo dell’economia deve passare attraverso il riconoscimento di questi valori perché il mondo dell’impresa conosce la competizione e se la competizione è leale, vincono i migliori. E se si vuole essere i migliori, bisogna promuovere la legalità e il merito. Lo stesso deve accadere nella pubblica amministrazione: le promozioni non devono avvenire solo per anzianità, ma riconoscendo il merito di chi deve essere promosso, stimolando i giovani più bravi a entrare nelle PA, così come nel mondo dell’impresa. In altre parole, economia pubblica e privata devono parlare la stessa lingua, altrimenti non riusciranno mai a sviluppare modelli virtuosi. Le incomprensioni, che spesso ci sono, devono e possono essere superate con la formazione di nuove classi di dirigenti e impiegati, per le imprese e la PA, che sappiano dialogare tra loro. E mi auguro che l’esperienza tragica della pandemia ci collochi in una condizione più facile di dialogo anche con l’Europa.
Lo scacchiere geopolitico vive significativi cambiamenti, in questo momento. Che occasione ha l’Italia nelle relazioni internazionali?
Credo possa avere un ruolo di prima attrice. Nel G20 anticorruzione, ad esempio, proporremo principi e deliverables perché pensiamo davvero di poter dire con orgoglio che l’Italia oggi è un Paese apprezzato perché ha adottato e promuove modelli di lotta alla mafia e alla corruzione più efficaci. Ci siamo dovuti impegnare tanto per sradicare questi fenomeni, per trasmettere ai nostri giovani, alle imprese e alla PA quanto sia importante combattere l’illegalità, e oggi possiamo essere leader in questo settore. Credo molto in questa nostra capacità e il momento è straordinario. L’assemblea di Confindustria di quest’anno ha mostrato sintonie che non si erano mai verificate nel nostro Paese e ci ha introdotto in una stagione speciale di crescita e di ripresa della quale, però, dobbiamo sapere approfittare.
A breve Expo Dubai sarà un altro palcoscenico importante per mostrare l’Italia migliore. Qualche anticipazione sui progetti che ha seguito in questi mesi?
A Dubai, con Luiss, presenteremo due progetti affascinanti. Il primo, sviluppato con gli ologrammi, proporrà una istallazione, tramite cui ci presenteremo e trasferiremo la nostra immagine. Accorciando ogni distanza, avvieremo una serie di dialoghi con i visitatori dell’Expo, per mostrare le caratteristiche del nostro Paese e del nostro modello di educazione. Il secondo è su uno dei nostri Master più innovativi: “Musica e Management”, realizzato con l’Accademia nazionale di Santa Cecilia e con le imprese, che punta a introdurre un parallelo tra la capacità di dirigere una orchestra e la capacità di essere leader in una azienda, creando quelle armonie e sinergie che sono necessarie per avere successo. Lo rappresenteremo con uno schermo interattivo, nel quale il Maestro Antonio Pappano dirigerà un concerto e lo spettatore, con una bacchetta digitale, potrà mettersi alla prova. Un altro esempio concreto e innovativo di come è possibile intrepretare il modello di formazione e educazione “made in Italy”.
In che modo, secondo lei, i giovani imprenditori, possono e devono contribuire a questa missione?
Cambiando innanzitutto la nostra comunicazione e portando le nostre best practice nella comparazione con altri Paesi. Dobbiamo incominciare a dire con orgoglio che siamo italiani, che abbiamo un modello di educazione italiano, un modello di lotta all’illegalità italiano.
È una vera dichiarazione di amore per il nostro Paese. Come coltiva questa ispirazione?
A proposito di formazione, per me incidono molto i valori familiari. Nella mia famiglia, praticare la legalità era un esercizio abituale. Mio padre e i miei zii erano magistrati e a casa mia il senso della legge era davvero il filo conduttore delle nostre conversazioni. Tant’è che, già all’età di otto anni, scrissi in un tema per la scuola che volevo diventare un avvocato penalista. Così come il concetto di merito: mio nonno paterno, impiegato delle poste, con fatica e orgoglio ha potuto dire che aveva 6 figli e 7 lauree, perché una delle figlie si era laureata due volte. E questo mi ha insegnato che le donne hanno possibilità quantomeno pari a quelle degli uomini e che, con il merito e l’impegno, possono raggiungere i propri obiettivi: è una questione di volontà, di valori e di capacità di collocare il merito in cima al proprio metodo di valutazione.
Valori che guidano un progetto a lei molto caro, “Legalità e merito”, ormai alla IV edizione, approdato quest’anno anche al Festival di Venezia. Come si articola e chi coinvolge?
Ogni anno, con tanti volontari che ormai ammontano al bel numero di 150, visitiamo 21 scuole e 3 carceri minorili. Un percorso che, oltre a promuovere la creazione di progetti, mette a disposizione borse di studio per l’ingresso in Luiss. L’idea è di favorire il dialogo sulla legalità tra i giovani, in modo facile e diretto. Durante la pandemia e il lockdown ci siamo chiesti cosa avremmo potuto fare di più e, oltre ai contatti con le scuole da remoto, abbiamo deciso di dare una mano ai detenuti di Rebibbia, consapevoli di quanto avrebbero sofferto a causa dell’impossibilità di incontrare i propri familiari. Grazie a uno sforzo congiunto con il carcere, abbiamo predisposto dei collegamenti via internet, su device mobili, e siamo riusciti ad entrare virtualmente nelle celle per portare compagnia ai detenuti, continuando a parlare di legalità. È stata una esperienza incredibile per i nostri ragazzi, che ha dato vita anche a un docu-film che abbiamo presentato al Festival di Venezia, “Rebibbia Lockdown”.