Quale impresa

Made in Italy: il “bello e ben fatto” del nostro Paese. Ne parliamo con Renzo Rosso

Lei vanta indubbiamente una storia aziendale di successo: come nasce il Renzo Rosso imprenditore? Di cosa va più fiero e cosa invece le piacerebbe cambiare?

A 15 anni ho realizzato il mio primo paio di jeans con la macchina da cucire di mia mamma, ed è stato un successo. A 23 anni ho fondato il brand Diesel che è diventato un marchio iconico in tutto il mondo grazie al suo prodotto unico e ad una comunicazione che sovvertiva tutte le regole. Negli anni ho iniziato ad acquisire altri brand e aziende nel mondo, creando quello che oggi viene considerato l’unico polo italiano del lusso, diverso e alternativo ai giganti francesi. Sono una persona positiva che pensa sempre che qualsiasi problema si possa risolvere. Sono fiero di aver fondato Diesel, il primo lifestyle brand globale. Sono fiero di aver costruito un gruppo di moda unico, e sono fiero di avere accumulato nel tempo una cultura globale in tanti settori diversi di business (dalla moda, al design, dall’agroalimentare, all’hospitality). Sono fiero del mio impegno sociale, di quello che facciamo come gruppo, ad esempio aiutando le aziende nostri fornitori ad accedere al credito in maniera agevolata, e di quello che negli anni sta facendo la nostra fondazione, con progetti che spaziano dagli aiuti nelle situazioni di emergenza (dal terremoto al Covid), al supporto alle donne e contro la violenza di genere, alla lotta alle dipendenze tra i giovani. Cosa vorrei cambiare? Tante cose, il sistema di governo del nostro Paese in generale, la burocrazia, la giustizia, e quel non sano attaccamento alla propria sedia che tanto male ha fatto all’Italia.

Di recente Lei ha ricevuto dal Presidente Bonomi la delega per eccellenza, bellezza e gusto dei marchi italiani: come sta il nostro Made in Italy dopo questo periodo così drammatico?

Credo che complessivamente il panorama si debba dividere tra le aziende solide che in questo periodo si stanno rafforzando perché hanno i mezzi per poter investire, soprattutto in tecnologia e innovazione che sono l’unico ossigeno per risollevare il business, e quelle meno solide soggette a sentire in maniera più impattante le problematiche post Covid, e che si devono ripensare. Da un certo punto di vista, questo è un buon momento, si sente l’esigenza di maggiore associazione, penso ad esempio a tutta la filiera. L’unione fa la forza e potremmo davvero uscire rafforzati da questo momento.

Lei ha lanciato un progetto legato alla sua delega, dal nome Brave Italy, ha parlato di far emergere i best in class in diversi settori. Di che si tratta?

Brave Italy! Perché in questo momento c’è bisogno di coraggio per affrontare il cambiamento e sapersi reiventare, traendo forza dalle nostre radici e dal saper fare italiano, per coniugare il nostro DNA con le sfide della tecnologia e della sostenibilità. Dobbiamo portare avanti un lavoro di squadra per costruire prima una sorta di mappatura dei best in class italiani e poi essere insieme ambasciatori nel mondo del modello di unicità che ci contraddistingue. È un progetto ambizioso per cui chiediamo il contributo di tutti coloro che vogliono il meglio per il nostro Paese. Cerchiamo di costruire il futuro insieme puntando a un nuovo modello di vita e di benessere, inclusivo e capace di guardare alle nuove generazioni.

Lei ha parlato della necessità di un rinascimento anche morale del Paese: quali sono le priorità da cui partire?

Devo dire che oggi si respira un’aria diversa. C’è gente seria al governo, che sta affrontando i problemi del Paese in maniera sensata e ragionata. Ma serve comunque un cambio di marcia morale a tutti i livelli della popolazione. La consapevolezza che non è una gara a chi è ‘più furbo’, ma un impegno da parte di tutti a pensare al bene comune, ad aiutare come si può, ciascuno secondo le proprie capacità. L’Italia ha bisogno di ripartire con orgoglio e con slancio. Dobbiamo ricordare al mondo perché il nostro Paese è unico, i suoi tesori, il suo know-how, i suoi talenti. Dobbiamo investire in educazione, in innovazione, rendere i nostri giovani e le nostre aziende competitive a livello internazionale. Dobbiamo proteggere e valorizzare i nostri beni culturali, le nostre eccellenze, il nostro patrimonio. Diventare il miglior Paese al mondo, meritocratico e sostenibile.

Un insegnamento che le ha lasciato la pandemia?

Abbiamo tutti imparato che si può fare molto di più con molto meno, che si possono fare le stesse attività usando meno risorse, che si possono evitare viaggi inutili, spendere di meno e causare meno emissioni di CO2. Abbiamo imparato a lavorare in smart working e questo lascia più libertà alle persone e permette loro una migliore gestione delle proprie famiglie, e ancora meno produzione di CO2. E tutto quello che abbiamo imparato in questi mesi rimarrà parte integrante delle nostre vite e delle nostre aziende per il futuro. Abbiamo toccato con mano che le difficoltà aguzzano l’ingegno, e che l’essere umano non sa arrendersi mai.