
Innovazione:
l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione.
Ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica.
Leggendo le prime definizioni che la Treccani dà della parola innovazione si intuisce chiaramente che tutto ciò che viene toccato deve necessariamente innescare grandi e piccole rivoluzioni.
Cambiare un sistema, un metodo di produzione, un ordinamento predefinito da decenni è senz’altro una sfida che richiede molto impegno e molti investimenti, specialmente se la situazione di partenza è particolarmente complessa, come nel caso dell’Italia.
Questo è stato lo spirito con cui nel 2016 è stato varato il piano Industria 4.0: investire sullo sviluppo e sulla capillare diffusione di tecnologie in tutti i comparti produttivi per fare un salto di qualità e accrescerne la competitività.
L’Italia aveva (ed ha!) un enorme bisogno di questa rivoluzione culturale all’interno delle imprese, soprattutto quelle manifatturiere nelle quali si scontava una importante obsolescenza delle macchine, una grande frammentazione delle filiere, una ancora troppo debole interazione con università e centri di ricerca, una cultura manageriale non pienamente sintonizzata sulle sfide della digitalizzazione.
Dall’altro lato però il nostro Paese ha sempre avuto grandi assi nella manica come una base produttiva tra le più ampie e diversificate al mondo e un incredibile know-how nella meccanica strumentale, solo per citarne due.
Il combinato disposto di questi aspetti ha fatto sì che negli ultimi 5 anni crescessero significativamente gli investimenti in tecnologie per Intelligenza Artificiale, Internet delle cose, algoritmi e automazione industriale, big data condivisi nelle filiere e utilizzati in tempo reale, per customizzare i prodotti e ottenere una maggiore capacità di resilienza e adattamento alle oscillazioni, ormai sempre più repentine e imprevedibili, dei mercati.
Inoltre, il Piano ha avuto anche il merito di mettere molte imprese, soprattutto Pmi, nella condizione di avvicinarsi a queste nuove tecnologie, capirne le potenzialità, iniziare a immaginare di rivedere i propri modelli di business anche in funzione di questa opportunità.
Insomma, si può dire sicuramente che Industria 4.0 ha rappresentato uno dei rari casi di politica industriale trasversalmente utile a tutti i comparti.
Tanto è vero che proprio il presidente Bonomi, nell’Assemblea Annuale di Confindustria parlando delle nuove sfide della doppia transizione digitale e sostenibile, abbia ribadito che “Industria 4.0 era ed è – se la ripristiniamo integralmente e, anzi, la potenziamo rendendola incentivo strutturale e non a tempo – la via maestra da seguire per realizzare al meglio queste sfide”.
Ed è proprio qui che ci troviamo ora: in un passaggio essenziale per la quarta rivoluzione industriale enormemente accelerato da eventi traumatici quali pandemia e conflitto, con le catene globali del valore completamente da ripensare, accorciare e “deglobalizzare”, immersi nell’improrogabile necessità di andare avanti per trasformare l’Italia nel Paese contemporaneo, efficiente e competitivo che abbiamo in mente.
L’industria si sta già muovendo nella giusta direzione, investendo sempre più sull’efficientamento, sulla capacità produttiva, sui modelli e sul ciclo di vita dei prodotti, sui servizi ad alto valore aggiunto ma per cambiare la cultura delle aziende c’è ancora molto da fare, in particolare sull’acquisizione delle nuove competenze e sulla riqualificazione della forza lavoro.
I dati del 2022 del Digital Economy and Society Index (DESI) ci dicono però che su questo aspetto dobbiamo lavorare ancora molto:
- siamo terzultimi in Europa per popolazione con competenze digitali almeno di base (42%), contro una media Ue del 56%, e quartultimi invece per competenze digitali avanzate (22%), contro una media Ue del 31%;
- la quota di imprese che ha offerto formazione in ambito ICT ai propri dipendenti si ferma al 16%, contro una media europea del 20%;
- siamo ultimi nel continente per quota di laureati in ambito ICT sul totale della popolazione con una laurea (1,3% rispetto a un valore Ue del 3,9%).
È evidente dunque che reskilling, upskilling e inserimento di giovani in azienda sono le chiavi di volta per la trasformazione.
I nati nel 2000 che a breve si apprestano a innestare le nostre aziende con la mentalità di chi è nato già all’interno di una rivoluzione, dovranno immaginare e gestire tutte le innovazioni straordinarie che stiamo iniziando a concepire proprio attraverso le IA e la loro integrazione nei processi: ambiente, agricoltura, medicina, trasporti, sicurezza, logistica, energia…
Il capitale umano del futuro va cresciuto e sostenuto nell’attività formativa con investimenti e programmi lungimiranti.
Le competenze e le abilità più ricercate nelle aziende del futuro saranno non solo quelle tecniche o l’immancabile problem solving ma anche pensiero critico, creatività e, soprattutto, quel vasto insieme di abilità tecnologiche che consentono di individuare, valutare, utilizzare, condividere. Ingredienti essenziali per immaginare l’innovazione di processo nell’industria.
Per questo è sempre più importante costruire e rafforzare un’alleanza tra noi imprenditori, territori e mondo della scuola. Come abbiamo fatto a luglio con la riforma degli ITS, fortemente voluta da Confindustria, che dota finalmente l’intero sistema educativo italiano di un segmento che è sempre mancato, il livello di istruzione terziaria professionalizzante. O come facciamo costantemente con le iniziative di promozione delle STEM, soprattutto fra bambine e ragazze. O anche con le attività di sostegno alle start-up, veri acceleratori di innovazione per il tessuto produttivo italiano.
Insomma, per cogliere a pieno i benefici della quarta rivoluzione industriale, dobbiamo continuare a insistere nello sviluppo di una nuova mentalità e lavorare, tutti e tutte insieme, a iniziative sistemiche per colmare i divari digitali, di genere e generazionali.
La costruzione del futuro delle imprese è un interesse collettivo.