
Nel ricambio generazionale risiede il futuro delle imprese e, più in generale, dell’economia italiana. In un tessuto imprenditoriale, come quello Made in Italy, composto per la maggior parte da aziende familiari, capire il passaggio di gestione da una generazione all’altra diventa indispensabile per capire il futuro della società tutta.
Partiamo da qualche dato: il nostro tessuto industriale è fatto di piccole – medie imprese, che impiegano ben l’82% dei lavoratori (molto oltre la media UE) e rappresentano il 92% delle imprese attive. Il 65% delle imprese con fatturato superiore ai 20 milioni di euro è costituito da aziende familiari. Il passaggio del testimone dei fondatori agli eredi è previsto in quasi il 20% dei casi (dato che più o meno equivale alla percentuale di ultrasettantenni ancora alla guida) entro i prossimi 5 anni. Altro dato interessante: solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione (dati Osservatorio AUB sulle aziende familiari italiane).
In questa situazione risulta evidente che il tema del passaggio generazionale non sia una questione privata ma un elemento che dovrebbe essere centrale nel dibattito pubblico sia per gli effetti sul sistema economico sia per i risvolti psicologici degli attori coinvolti. È un tema che negli ultimi anni – con il protrarsi della crisi economica – è divenuto più problematico sia per la maggiore fragilità delle imprese, sia per la maggiore difficoltà ad essere imprenditori in un contesto economico estremamente complesso e mutevole. In questo contesto, più che mai, gli imprenditori senior sono senza dubbio una risorsa per le imprese, tanto quanto sono e dovranno diventare sempre più le nuove generazioni. Gli imprenditori anziani sono detentori di una cultura di impresa unica al mondo che hanno senza dubbio passato a figli e nipoti. Questi ultimi, dal canto loro, nascono in un contesto in cui l’innovazione è un elemento imprescindibile e sono la prima generazione che ha qualcosa da insegnare a quella precedente.
Non è utile, e senz’altro non è efficiente, mettere le generazioni su un piano di scontro, piuttosto è fondamentale capire come possano parlarsi e integrarsi al meglio per resistere agli urti delle crisi e produrre crescita e benessere per l’Italia.
La soluzione è valorizzare le nostre migliori tradizioni lasciando spazio alle innovazioni di prodotto e di processo che saranno il cuore delle imprese di domani. Per riuscirci dobbiamo applicare un sistema di governance moderno, valutare la competenza e non solo l’appartenenza, pianificare l’obiettivo e coinvolgere attori terzi ma, soprattutto, essere disposti al cambiamento che presuppone una convivenza prima e una staffetta generazionale poi.
I membri delle nuove generazioni, anche se talvolta di fatto gestiscono il business, con un grado di coinvolgimento nei processi decisionali aziendali molto importante, spesso non figurano in ruoli strategici a causa della difficoltà del fondatore di fare anche formalmente un passo indietro. Possiamo dire che, spesso, esiste una governance formale e una sostanziale.
Il punto nevralgico riguarda la formazione e lo stile di guida delle nuove generazioni: nuove visioni e competenze più aggiornate rispetto alle sollecitazioni del contesto contemporaneo, conducono spesso a stili di guida dell’azienda diversi rispetto alla generazione precedente. Quello del passaggio generazionale, però, è un processo vantaggioso che, se guidato dalla giusta consulenza e integrato con una formazione finanziaria adeguata, può portare a consolidamenti che contribuiscono a distendere il valore dell’azienda e del lavoro familiare nel tempo.
Essenziale, inoltre, investire nella formazione dei manager perché vadano a coprire il fianco scoperto della seconda generazione, consentendo ad essa di maturare esperienza garantendo, allo stesso tempo, una longevità all’azienda. Come Movimento, da sempre, naturalmente parliamo di passaggio generazionale e cerchiamo di approfondirne gli aspetti principali affinché esso si realizzi in maniera efficace: da un punto di vista legale, fiscale e, non ultimo, psicologico e di comunicazione tra tutti gli attori coinvolti nel processo.
Sotto l’attuale presidenza di Riccardo Di Stefano, la Vice Presidente Maria Anghileri, con la sua Commissione Cultura di impresa e politiche industriali, porta avanti un progetto di sensibilizzazione e approfondimento di questi aspetti, in collaborazione con la Luiss Business School che ha realizzato il volume “La staffetta. Il ricambio generazionale nelle imprese italiane”, a proposito del quale anche il Presidente Di Stefano si è detto “orgoglioso di aver contribuito e collaborato per la realizzazione del progetto di questo libro che riporta tante testimonianze di imprese e una visione molto chiara del quadro di riferimento di questo importante fenomeno”. Secondo la Vice Presidente Maria Anghileri “il passaggio generazionale non è una questione privata ma un elemento di primaria importanza che deve essere messo al centro del dibattito pubblico, con l’obiettivo comune di creare un nuovo modello di sviluppo economico e sociale.
Come Movimento di Giovani Imprenditori è per noi fondamentale osservare da vicino questi fenomeni, inquadrarli nel contesto geopolitico attuale in continua evoluzione, ricalibrare costantemente il nostro ruolo nello sviluppo e nella crescita delle imprese e dei loro giovani rappresentanti, favorendo tutti quei processi di ricambio che garantiscono alle imprese maggiore resilienza e capacità di affrontare le sfide del futuro”. Secondo uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia e riportato dal Sole 24 Ore, il 70% delle nostre imprese è nato tra il 1960 e il 1980, e soltanto in un terzo dei casi il processo di successione è andato a buon fine.
Il fenomeno tocca anche l’Europa: i dati Eurostat indicano che circa cinque milioni di aziende nell’Unione, pari al 30% di tutte le imprese comunitarie, si troveranno a dover fare i conti nei prossimi anni con il problema intergenerazionale. In Italia sono circa 4 milioni le imprese gestite con il coinvolgimento dei parenti più stretti (fonte: camera Commercio Milano).
Essere disposti al cambiamento presuppone una convivenza fra generazioni e una successiva staffetta. Le condizioni per portare avanti con successo questa evoluzione sono:
- distinguere l’azienda dalla famiglia
- applicare un sistema di governance moderno
- valutare la competenza e non solo l’appartenenza
- pianificare l’obiettivo e coinvolgere attori terzi.
Dobbiamo tenere presenti alcuni elementi essenziali che riguardano il nostro Paese:
- l’Italia invecchia molto rapidamente;
- il rapporto tra il numero di abitanti sopra i 64 anni e quello dei bambini tra 0 e 14 anni, nel 2021 era del 183,3% a livello nazionale.
Da una parte abbiamo quindi una popolazione sempre più anziana con una solidità finanziaria e una maggiore resilienza al ciclo economico, dall’altra un numero di under35 sempre più esiguo e con una condizione economico-lavorativa difficile e con prospettiva corta (perdita di qualità nell’apprendimento, stage sospesi o virtuali, ingresso nel mondo lavorativo da remoto e senza inserimento “reale”).
Occorrono interventi specifici per invertire la rotta ed evitare che il divario generazionale si allarghi e autoalimenti sempre di più e che i giovani puntino a crearsi una vita altrove, in stati più dinamici e “accoglienti”.
Occorre un pensiero a lungo termine e programmi che tengano conto di questi equilibri e dinamiche, non solo perché siamo il futuro di questo Paese, ma anche perché i giovani servono a far funzionare il sistema sociale.