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AMBIENTE, SOSTENIBILITÀ E CULTURA: UNO SGUARDO AL FUTURO CON LA VICE PRESIDENTE KATIA DA ROS

Lo scorso aprile è stata rinnovata la squadra di presidenza di Confindustria per il secondo biennio del mandato di Carlo Bonomi. Alla Vice Presidente Katia Da Ros, Ad nell’impresa di famiglia Irinox di Corbanese di Tarzo (TV), sono state affidate le deleghe per ambiente, sostenibilità e cultura. In questa intervista, la Vice Presidente Da Ros ci racconta la sua visione per un futuro green, sostenibile e inclusivo in cui le imprese giocano un ruolo di primo piano.

D: Transizione ecologica e grandi imprese. Quale contributo possono dare le grandi imprese italiane ed europee nel percorso di transizione ecologica verso gli Obiettivi 2030?

R: Il livello di maturità e consapevolezza di tutto il nostro sistema produttivo sulle tematiche ESGs è, a mio avviso, molto alto e riguarda le imprese di tutte le dimensioni, essendo la nostra industria caratterizzata da filiere strategiche che, attraverso la cooperazione continua e lo scambio di know how, rappresentano uno dei maggiori punti di forza del nostro tessuto economico.

Le nostre imprese sono perfettamente consapevoli del ruolo essenziale che ricoprono ai fini del reale raggiungimento dei
Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, avendo il compito di contribuire in termini di modelli di business – talvolta da reinventare in un’ottica di maggiore responsabilizzazione – nonché come incubatori di quella innovazione tecnologica necessaria e indispensabile per trovare soluzioni nuove e vincenti nel contesto della transizione. Innovazione e sostenibilità, infatti, sono due aspetti strettamente connessi, da cui dipende sempre di più il successo economico e il progresso sociale delle nostre imprese.

Le imprese, nel pensare la loro strategia di crescita, devono oggi verificarne la sostenibilità sociale e ambientale, oltre a quella economica. L’applicazione produttiva dell’innovazione rende possibile la sostenibilità, due driver che insieme stanno definendo la transizione verso un’economia più circolare, più efficiente nell’uso delle risorse, più inclusiva e a basse emissioni: in definitiva, sempre più orientata e calibrata per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

La responsabilità sociale e la sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi, quindi, sono e saranno sempre di più ingredienti rilevanti per il successo delle imprese. Questo principio è parte fondante della politica europea e internazionale delineata per i prossimi anni e l’Italia si approccia a queste nuove sfide potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo fatto i conti con un approccio “responsabile” alla produzione e al consumo di risorse.

La sostenibilità, quindi, riveste un ruolo centrale non solo all’interno del dibattito pubblico, ma anche e soprattutto nella produzione e nel mercato. La crescente attenzione all’impatto che l’azione imprenditoriale ha sul contesto in cui insiste, comprendendo tanto l’ambiente quanto la comunità, sta trasformando le scelte di consumo, investimento e produzione.

È però attraverso un dialogo costruttivo tra pubblico e privato che la transizione green e i criteri ESGs possono divenire un processo di miglioramento inclusivo e non escludente, a portata di piccole quanto di grandi imprese, in cui l’Unione Europea può divenire un esempio virtuoso a livello internazionale.

Le policy per la sostenibilità, quindi, non possono prescindere anche dagli aspetti sociali ed economici e dal fattore tempo: servono norme e standard semplici che evitino costi inutili, procedure veloci e razionali, e supporto alle filiere per aumentare competenze e opportunità di crescita nel solco della sostenibilità.

Sotto questo profilo – come è emerso con forza anche nei lavori di B20 e G20 – emerge la necessità di poter fare affidamento su standard di reporting di sostenibilità che siano allineati a livello internazionale, poiché oggi i mercati sono globali ed è necessario che le imprese che operano a livello globale non si scontrino con regole diverse sui diversi mercati.
A livello europeo si sta lavorando attivamente, in sede Efrag – European Financial Reporting Advisory, sulla definizione di questi standard. Un lavoro imponente, che stiamo seguendo attivamente, caratterizzato da un elevato grado di complessità, che tuttavia necessita di trovare un maggiore equilibrio tra gli obiettivi di trasparenza e il rischio di generare una sovrapproduzione informativa che potrebbe bloccare il mercato e che dovrà condurre a esiti omogenei a livello non solo europeo ma internazionale.

D: Uno sguardo alla cultura d’impresa oggi.

R: In tre battute: oggi come imprese siamo chiamate a rispettare il chi eravamo, progettare il chi siamo e anticipare il chi saremo. La cultura d’impresa fornisce le attitudini necessarie per consentire alle aziende di tenere insieme queste tre dimensioni temporali che, in equilibrio, assicurano una forza competitiva straordinaria.

Dal passato provengono lezioni fondamentali di identità che, con iniezioni di innovazione e coraggio tipiche del fare impresa italiano, assicurano gambe solide e vista lunga. Stiamo vivendo tempi durissimi. Prima il Covid, adesso una guerra nel cuore dell’Europa. Difficoltà di approvvigionamento e costi alla lunga insostenibili delle materie prime. Emergenze climatiche e, in tutto questo, una crisi di Governo.

La definizione dell’IO ha lasciato da tempo il passo al senso del NOI collettivo e, per quell’effetto butterfly teorizzato da Lorenz negli anni ‘70, sappiamo che ciò che facciamo oggi avrà un effetto determinante dall’altra parte del mondo e negli anni a venire. Non ci sono sliding doors ma c’è (anche) la cultura d’impresa in soccorso.

La cultura d’impresa è un acceleratore di soluzioni: non offre una risposta a pronto uso e consumo, ma indica la strada per reagire con propositività, dà gli strumenti per costruire una direzione, una exit strategy nei casi d’emergenza o una strategia preventiva di lungo periodo. L’Italia vanta una presenza diffusa di imprese e di cultura d’impresa e, grazie a essa, le aziende oggi parlano correntemente il linguaggio della sostenibilità e dell’inclusione: nei business plan si ritrovano, sempre più spesso, strategie che tengono insieme la ricerca del profitto con la volontà di creare valore condiviso. Se non vi fosse cultura tra le imprese e dentro le imprese, questi messaggi avrebbero maggiore difficoltà a radicarsi e a diventare azioni concrete.

Oltre la qualità, l’estetica e la perfetta funzionalità dei prodotti, oggi i mercati e i consumatori hanno aspettative molto
alte anche rispetto ai comportamenti, dentro e fuori l’impresa. Non più solo cliente: il consumatore è, a tutti gli effetti, uno stakeholder “di maggioranza” che osserva e giudica (attraverso l’orientamento dei propri acquisiti) il comportamento delle imprese: come gestiscono le tematiche ambientali, come si relazionano con i propri dipendenti, più in generale quale cultura aziendale abbracciano. In questo contesto, sarà sempre più importante il ruolo delle filiere di produzione, un’altra variabile “chiave” del sistema imprenditoriale italiano. Sono temi che hanno trovato un conforto analitico nell’ultimo Rapporto Civita “Quando la cultura incontra la sostenibilità”: oltre a sostenere attivamente la cultura (con un legame che sta evolvendosi dall’erogazione alla co-progettazione), le imprese contribuiscono all’evoluzione dalla CSR alla Corporate Cultural Responsibility e, nei casi più virtuosi, la cultura riesce ad agire realmente in termini di advocacy all’interno del dibattito sulla sostenibilità.

In questa riflessione non può mancare, poi, la dimensione culturale delle imprese, quella congiunzione che si fa verbo: impresa è cultura. L’immenso patrimonio culturale industriale va valorizzato perché, al pari del patrimonio artistico, è un pezzo fondamentale della nostra storia, non solo economica.

D: Quali sono i progetti che intende portare avanti durante il suo mandato?

R: La delega che mi è stata assegnata è molto ampia e verte su temi strategici in cui credo molto, come persona e come imprenditrice. Ambiente, sostenibilità e cultura sono il driver di crescita e sviluppo, il cuore della competitività delle imprese italiane. Sulla scia del lavoro avviato da tempo in Confindustria, proseguirà certamente l’impegno per la semplificazione normativa e amministrativa degli adempimenti, consapevoli che un contesto procedurale snello e sburocratizzato è il miglior viatico per la compliance ambientale, la legalità e la tutela dell’ambiente.

È necessario poi non abbassare l’attenzione sullo sviluppo di proposte concrete di politica industriale attivando tutte le leve: ricerca, innovazione, investimenti per l’efficienza, decarbonizzazione, uso efficiente delle risorse, modelli di business e competenze. A tal fine, è fondamentale continuare a giocare, come Confindustria, un ruolo di primo piano nell’affiancare le imprese verso la transizione ecologica e ambientale, tenendo conto del framework nazionale (in primo luogo il Pnrr) e internazionale (Agenda 2030).

Vanno in questa direzione i progetti strategici attivati da Confindustria come il Report sulla sostenibilità di tutta l’industria e il Progetto sul Sustainability Manager, che puntano a valorizzare le buone pratiche della nostra industria e rendere ancora più trasparente il percorso avviato dal nostro sistema produttivo sul tema della sostenibilità, rafforzando anche le necessarie competenze. Quanto ai progetti per la cultura d’impresa, che è il collante e l’acceleratore di molti dei processi trasformativi in atto, il nostro focus sta nell’aiutare le imprese a stare “un passo avanti”. Un asso nella manica da giocare sul tavolo dell’attrattività.

Mi riprometto di confermare e sviluppare alcune attività già avviate dal Gruppo Tecnico Cultura nel precedente biennio. Ci sarà, quindi, ancora attenzione a temi come i borghi e l’arte contemporanea e proseguiranno iniziative consolidate come la Settimana della cultura d’impresa e la Capitale della cultura d’impresa. Mi riprometto, poi, col contributo di tutti gli imprenditori coinvolti, di inserire questi “file” in una prospettiva strategica, cioè di riflessione sulla trasformazione in atto del modo stesso di essere impresa, oggi. Un’impresa che, senza mai snaturarsi, è chiamata a generare valore non più soltanto per sé e per i propri azionisti e a diventare, per davvero, attore protagonista della società e, al tempo stesso, fattore di cambiamento e di inclusione.