Quale impresa

LO SPORT È UN’IMPRESA

INTERVISTA DOPPIA A FILIPPO TORTU E RICCARDO BAGAINI

Giovani e già protagonisti dell’atletica olimpica e paralimpica italiana. Determinati e ambiziosi, studiano e corrono per raggiungere un obiettivo: vincere!

 

D: Partiamo dal principio: giovane, sportivo, studente; come ti descriveresti?

Filippo: Un ragazzo normale, come tanti, determinato a raggiungere i propri sogni/obiettivi. Un ragazzo fortunato, soprattutto per la famiglia che ho avuto.

Riccardo: Un ragazzo di 21 anni, appassionato di atletica leggera. Faccio parte della squadra paralimpica e studio Economia alla Luiss. La mia vita, al momento, è sport e studio.

 

D: Anche se giovane, la tua carriera ti ha già dato tante soddisfazioni: qual è l’impresa sportiva più significativa, finora, da te compiuta?

Filippo: Sono affezionato al 9”99 sui cento metri indubbiamente, ma se dovessi identificare la più significativa direi sicuramente la 4×100 di questa estate alle Olimpiadi di Tokyo.

Riccardo: Ne ho due, in verità. La prima è la medaglia di argento ai mondiali di Londra nel 2017, all’Olympic Stadium, proprio lì dove Bolt ha corso la sua ultima gara. Non dovevo essere ne­anche convocato, invece ho gareggiato nella staffetta. E poi, nel 2018, a Berlino, in occasione degli europei per i 200 metri: partivo sesto e sono arrivato terzo, quasi senza accorgerme­ne. È stato davvero emozionante!

 

 

D: In un’era di cambiamenti, e dopo una stagione di grandi successi sportivi, qual è la mentalità che coltivi e quali le competenze per affrontare le nuove sfide?

Filippo: Direi una bugia se ti dicessi che in quest’ultimo anno sono riuscito a studiare. Tra Covid e Olimpiadi ho messo tutto di lato, ma non alle spalle. Lo studio è un percorso che bisogna tracciare per il futuro più che per il presente e va costruito con attenzione. Per quanto riguarda la mentalità e la compe­tenza che impiego nelle mie sfide la risposta è unica per en­trambe le domande: dedizione maniacale. Inoltre, credo sia importante ispirarsi a modelli positivi, l’equilibrio e il buon senso rimangono le due caratteristiche più importanti nella crescita di un giovane.

Riccardo: Mai come quest’anno abbiamo avuto la consapevolezza che “se tu ce la fai, ce la faccio anche io”. Abbiamo raggiunto ri­sultati sportivi pazzeschi: l’Europeo di calcio, la finale a Wim­bledon e poi Marcel Jacobs e Filippo Tortu che hanno fatto qualcosa di straordinario. Sognare è bello, ma anche riuscir­ci. È stato questo il mindset. Nessuno lo ha detto, ma sicu­ramente qualcuno ci ha creduto per primo e ha contaminato tutti gli altri. Con la stessa mentalità, adesso, sto lavorando alla tesi finale, non è facile, ma ce la farò! Nello sport, come nello studio, l’allenamento è importante, ma la testa è fon­damentale.

 

D: Lo sportivo può essere considerato il prodotto della sua azienda a 360°. In che modo il percorso di studi può incidere nel migliorare o modificare l’approccio al mondo del lavoro?

Filippo: Il percorso di studi è fondamentale perché anche se è vero che lo spor­tivo è il prodotto della propria azienda, non bisogna scordare che la carriera atletica ha una breve durata. Per fare ragionamenti imprenditoriali si guar­da a lungo termine e quindi lo studio è un passaggio chiave per ciò che si farà quando si renderà necessario un cambio di vita. Mi ripeto sempre che al giorno d’oggi o sei in grado di cambia­re o vieni cambiato. Sul lavoro proverò la prima strada.

Riccardo: La figura dell’imprenditore ha diversi punti in comune con la nostra carriera. Anche noi siamo in fondo imprenditori: nel rapporto con i brand, ad esempio, o con la Federazione. Sappiamo cosa si­gnifica essere puntali e disponibili, co­nosciamo il valore dell’organizzazione e del tempo. Lo sport forma tantissimo da questo punto di vista, ma non solo: siamo testardi e ambiziosi nel voler ar­rivare all’obiettivo, che è vincere.

 

D: Diversità, inclusione e sostenibilità sono dimensioni che appartengono al mondo dello sport e oggi sono sempre più rilevanti anche per la società, le imprese, le istituzioni. Quali valori e occasioni riservano, in base alla tua esperienza?

Filippo: Più che dimensioni queste sono necessità e mi vie­ne da sorridere se penso che su alcune tematiche la società sembra essersi svegliata solo adesso. Mi fa arrabbiare invece che per i cambiamenti in meglio sia sempre necessario un gesto tragico a dare una scossa. L’inclusione non dovrebbe essere una reazio­ne, ma deve essere un desiderio di ognuno di noi. Per dirla tutta, non mi sembra giusto neanche il termine inclusione perché presuppone che si stia inserendo in un insieme qualcosa di estraneo. Io non giudico le persone in base al colore della pelle, in base al paese da cui arrivano o per altri aspetti, le giudico in base al comportamento che tengono e al contributo che dan­no alla società. Fortunatamente il mondo dello sport in questo è più avanti di altri: se vi posso fare l’esem­pio della nostra staffetta di Tokyo, quando guardo i miei compagni, io non vedo un ragazzo metà italiano e metà americano, non vedo un ragazzo di origini ni­geriane, ma vedo quattro sportivi che inseguono i loro obiettivi, e così dovrebbe essere per tutti. Pensando alla sostenibilità il ragionamento è simile: è un pas­saggio giusto e obbligato che dobbiamo fare: il pia­neta è la nostra casa e sfido chiunque a voler vedere casa sua sporca, inquinata e danneggiata.

Riccardo: Lo sport è promotore naturale di valori e approcci inclu­sivi. Io e Filippo, ad esempio, corriamo rispettivamente nella squadra paralimpica e in quella olimpica, ma i 100 m in pista sono uguali per me, per lui e per chiunque altro gareggia. Personalmente, sono molto contento che tutti ormai abbiano aperto gli occhi su questi temi, rilevanti da tanto tempo, che non hanno mai ricevuto la giusta attenzione. Pensando alla sostenibilità e quindi al nostro pianeta, bisogna lavorare su azioni in grado di generare un impatto su larga scala. L’auspicio è che per le organizzazioni, di qualunque dimensione, non siano solo argomenti di moda o leve di marketing, ma che abbiano sostanza e una visione di lungo periodo, considerando anche le nuove generazioni.

 

D: Fin da piccolo, lo sportivo è sempre stato quello che desideravi fare?

Filippo: Sono nato in una famiglia di sportivi, quin­di è sempre stato un sogno diventarlo. Se avessi dovuto scegliere una strada diver­sa forse avrei cercato di diventare giorna­lista, sempre di sport ovviamente. Mi sa­rebbe piaciuto molto.

Riccardo: Ho fatto vari sport sin da piccolo. L’atleti­ca mi piace, mi diverte tantissimo. So che quando non mi divertirò più lascerò con serenità. Non voglio fare l’allenatore.

 

D: Come ha impattato il Covid nella tua vita? Su che cosa ti ha fatto maggiormente riflettere?

Filippo: Ha impattato parecchio, soprattutto sulla possibili­tà di prepararsi al meglio per le gare. Poi mi rendo conto che se sugli sportivi ha impattato uno, per i la­voratori ha impattato mille. Questa situazione, ricor­dandomi anche della prima fase, mi ha portato gran­de tristezza nel vedere le persone soffrire, perdere i loro cari. Ora però sono molto orgoglioso di come il Paese ha saputo reagire e affrontare, anche meglio di altri, un’emergenza che nel 2019 nessuno poteva immaginare fosse realizzabile.

Riccardo: La pandemia mi ha fatto riflettere molto e apprez­zare le cose più semplici. Cose che prima del Covid ci sembravano scontate, come ad esempio una pas­seggiata all’aria aperta, oggi hanno un sapore com­pletamente diversa.

 

D: Se dovessi chiudere gli occhi e immaginarti tra 10 anni, cosa vedresti?

Filippo: Non vedo così lontano per adesso. Se chiudo gli oc­chi vedo le Olimpiadi di Parigi.

Riccardo: Al momento ho due grandi traguardi a breve termi­ne: laurearmi il prima possibile e la qualificazione per i campionati del mondo di atletica leggera para­limpica. Mi impegnerò al massimo per raggiungerli entrambi.

 

D: Domanda secca: hai più ansia prima di un esa­me o prima di una gara?

Filippo: Molta di più prima di un esame, non c’è paragone.

Riccardo: Prima di un esame, senza dubbio!