
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Paolo Barletta CEO di Arsenale spa, società nata dalla collaborazione con Nicola Bulgari. Non solo imprenditore ma anche filantropo investitore e talent scout, Paolo Barletta poco più che trentenne è riuscito a rivoluzionare l’azienda di famiglia predisponendola alle sfide del futuro. Oggi è considerato tra le figure di primo piano del panorama imprenditoriale italiano, ha partecipato al G20 di Milano il 6 ottobre scorso.
L’internazionalizzazione è stata uno degli argomenti più importanti per l’industria negli ultimi dieci anni, alla luce del post pandemia come vede il proseguimento
L’internazionalizzazione ha sempre rappresentato un importante driver di crescita per le aziende, ma per internazionalizzare davvero un’azienda non è sufficiente avere del commercio con paesi esteri o fare export. Su questo equivoco sono caduti istituzioni e imprenditori e molte delle politiche volte all’internazionalizzazione degli ultimi anni non hanno prodotto i frutti sperati. Internazionalizzare significa poter superare le barriere nazionali giocando dei ruoli primari al di fuori del proprio mercato d’origine.
Non è sufficiente avere un ufficio di rappresentanza ma è necessario creare delle stabili organizzazioni con politiche specifiche. Serve un’affermazione su quel mercato e per questo è necessario comprenderne le dinamiche e le sue sfumature. In questo ambito torna il grande nodo sulla managerializzazione delle aziende. Per internazionalizzare è fondamentale po ter delegare e la delega non si sposa con le aziende a conduzione troppo familiare.
Il più grande limite rimane l’assenza di manager. Scelta questa che deriva a volte da ragioni culturali, ma, soprattutto negli ultimi anni, la vera ragione risiede nei costi proibitivi dell’inserimento di figure dirigenziali. Il costo del lavoro, soprattutto nei ruoli apicali è troppo elevato e porta l’impossibilità di dotarsi di quelle figure oggi fondamentali non solo alla crescita della propria aziende in Italia, ma soprattutto quale condizione necessaria e fondamentale per poter puntare ad un processo di internazionalizzazione. La crisi indotta dalla pandemia ha messo le imprese davanti a nuove sfide e gli imprenditori hanno dovuto, velocemente, adattarsi ad una situazione imprevedibile. Temi come la digitalizzazione, l’attenzione all’ambiente e la salute guideranno lo sviluppo politico dei prossimi anni. Le nuove tecnologie hanno facilitato l’accesso alle informazioni in tempo reale e ne hanno ridotto i costi e questo si traduce in una maggior possibilità anche per le piccole e medie imprese di accedere ai mercati internazionali. Questo vantaggio però non sarà sufficiente senza una vera politica di supporto che deve partire proprio dalle risorse umane e dalla professionalità. In un paese i cui manager sono tra i più preparati ed efficienti al mondo, ne è conferma la richiesta che vi è dai mercati internazionali, è fondamentale poter rafforzarne il loro inserimento che sarà tra gli elementi del successo e dell’affermazione delle aziende Italiane al pari della tecnologia e della qualità dei propri prodotti.
Il forte impatto ecologico che l’internazionalizzazione ha comportato creerà problemi per il futuro?
L’internazionalizzazione delle imprese nel rispetto di quelli che sono gli obiettivi prefissati dall’agenda2030 potrà avere un esito positivo solamente se le aziende avranno accesso ai giusti incentivi per poter investire su nuove fonti di energia e puntando su produzioni sostenibili.
Le preoccupazioni per il clima e il consumo eccessivo di risorse non riproducibili, hanno spinto l’innovazione tecnologica, l’esplorazione di nuovi modelli di consumo e di nuovi business models, arrivando a creare una serie di circoli virtuosi tra dimensione economica e ambientale. Il rispetto dell’ambiente non deve essere più inteso come un vincolo, ma come una opportunità di business e la sfida che le aziende italiane devono affrontare in termini di internazionalizzazione riguarda innanzitutto la creazione, l’adozione e la messa a valore dell’innovazione tecnologica green nei mercati internazionali.
Finora, non tutti i Paesi hanno dimostrato sensibilità simili rispetto a queste sfide, sia per motivazioni politiche che a causa di dei loro diversi livelli disviluppo economico.
Come Italia siamo avanti e in prima linea su queste tematiche. Dobbiamo farne un punto di forza e valorizzare un primato che potrà essere un volano enorme sulle sfide Internazionali.
Dovrà forse essere ripensato un nuovo modello di espansione? Come?
Ripensare il modello di espansione è un tema di cui si sente parlare da anni. Il Covid ci ha fatto capire quanto il ruolo delle aziende non possa prescindere dall’impatto sociale che le stesse apportano alla società. Un impatto che non si misura solo in termini economici, bensì, oggi più che mai, sotto il profilo ambientale e culturale. Le aziende, insieme al mondo pubblico, sono le terminazioni di un modello di progresso e di educazione che impattano direttamente la vita delle persone, le loro scelte e il modo in cui entrano in connessione con gli altri e con il pianeta. Se pensiamo a quali modelli siano più adatti ad una prosperazione economica, senza davvero mettere in connessione questi driver fondamentali, oltre a perdere una grande occasione, presto ci renderemo conto che sarà troppo tardi per pensare a modelli alternativi, dato che la poca sostenibilità dei modelli attuali porterà dei danni potenzialmente irreversibili. L’Italia ha le condizioni per essere un apri pista e innovatore su tematiche Ambientali (per le quali siamo molto più avanti di molti paesi), in ambito education (considerando che formiamo professionalità di altissimi livello) ma abbiamo ancora molta strada da compiere sull’importanza di trasmettere il principio di società etiche e ad impatto sociale positivo. In merito a questo la cultura aziendale è ancora troppo indietro e serve maggiore spinta nei prossimi anni.
La tecnologia come e fino a che punto potrà essere di supporto alla internazionalizzazione?
La pandemia ha sicuramente accelerato lo sviluppo della digitalizzazione e della tecnologia, rendendola un elemento indispensabile e facilitatore della vita quotidiana, e soprattutto ha reso ancora più evidente la necessità di ricorrere a connettere l’azienda con i propri clienti. Le informazioni e la conoscenza dei propri utenti finali sono uno dei veri elementi di successo delle aziende moderne. Informazioni che non servono a volte solo a migliorare i propri prodotto, bensì ad anticipare le tendenze e anticipare lo sviluppo futuro. Un chiaro esempio dell’importanza delle informazioni è Amazon. Un modello vincente oggi presente su molteplici verticali che molti però scordano essere partito dalla vendita di libri. Vendere libri su scala internazionale e grandi volumi ti permette di capire cosa cercano le persone. A quali modelli si ispirano, quali sono le loro curiosità e come vedono l’evoluzione delle loro vite. Il successo di Amazon è stato quelli di mettere a fattor comune questi dati per costruire i servizi del futuro, servizi che oggi lo rendono tra i primi e più profittevoli gruppi al mondo. Tecnologia significa anche questo e sono fortemente convinto che le aziende che non usano i grandi progressi dell’Intelligenza artificiale, dei data analytics e dei migliaia di SAS oggi utili a migliorare la propria operatività, siano destinata e spegnersi nel corso dei prossimi 5/7 anni. Spesso penso all’esempio di una delle nostre società in portfolio: Ufirst. Questa piattaforma digitale che facilita gli accessi ottimizzando il tempo delle persone in fila è presente sul mercato da circa 4 anni. Purtroppo però, è stato necessario il Covid-19 per far comprendere alle aziende che era necessario dotarsi di uno strumento così indispensabile e che, non solo perché necessario per la legge, migliorava la qualità dell’esperienza dei propri clienti. Stare al passo con tecnologia non può significare giocare in difesa ma serve anticipare. L’anticipo è tra gli ingredienti principali del successo.
I paesi emergenti che non hanno alcun tipo di regolamentazione internazionale come potranno essere “arginati” (vedi il ProseK Croato che recentemente è stato oggetto di forti discussioni). Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), i paesi emergenti devono approfondire il percorso di riforma in sei aree target per poter proteggere le proprie economie in un contesto più fragile: governance, scambi commerciali, lavoro, finanza nazionale (come il controllo dei tassi d’interesse), finanza estera e regolamentazione dei mercati.
Il successo delle riforme dipenderà da una serie di fattori, come ad esempio tempistiche, realizzazione, dipendenza dell’economia di un paese da capitali esteri, nonché da come le riforme stesse interagiscono con l’infrastruttura istituzionale esistente. Il problema più grande però rimane sempre quello della fragilità dei punti di vista dei decision maker. Se non si cerca di prendere decisioni che possano impattare non solo il proprio paese ma le comunità vicine e lontane, l’isolamento creerà dei gap culturali, umani e tecnologici che sarà difficile poi colmare. Le ere industriali hanno permesso all’uomo di fare esperienze importanti su molti temi. Il tempo ha aiutato a maturare i mezzi per metabolizzare i cambiamenti e imparare dai propri errori. Saltare delle ere industriali e passare dall’età del fuoco alla fissione nucleare è un grandissimo rischio e potrebbe portare conseguenze catastrofiche.
Il nostro gruppo è l’unico investitore Europeo in Virgin Hyperloop One che sta provando a rivoluzionare il mondo dei trasporti grazie a treni che viaggiano in assenza di gravità ad oltre 1000km/h. Molti paesi sono oggi pronti a questa rivoluzione industriale e culturale e il progresso che questi progetti potrebbero portare è enorme. Penso però ad uno dei mercati in cui stiamo lavorando: l’India. In questo paese, qualora Hyperloop avrà successo, si passerà da treni vecchi, affollati, con standard si sicurezza minimi che viaggiano a 50km/h a treni moderni che collegheranno le grandi capitali in pochi minuti. Realizzare il treno sarà un mix di volere politico e investimenti economici, pertanto relativamente facile e veloce qualora vi sarà la tecnologia e la volontà. Il vero problema però risiede nell’impatto che questo salto in avanti potrà comportare in quella società civile. Le persone, le città, le infrastrutture ancillari, le aziende locali, sono pronte a subire questa accelerazione imponente? Credo che queste siano le domande che davvero dobbiamo porci quando ci approcciamo ad economie emergenti che saranno, certamente, i principali attori dei prossimi 50 anni.
L’Italia, inserita in un contesto europeo poco disposto alla tutela, potrà farcela con le solite armi della qualità o ci sarà bisogno di qualcosa di più…
Premetto che sono un sostenitore del Made in Italy, amo l’Italia e tutto ciò che l’Italia rappresenta. Noi italiani siamo i primi a dover portare avanti certi valori, tradizioni, culture, capacità che abbiamo solo noi, invidiate in Europa e nel mondo e che ci hanno portato ad essere un faro per la maggior parte dei paesi del mondo.
Per aiutare a riconoscere i prodotti fabbricati in Italia con materie prime italiane, ci sono leggi nazionali e presto saranno applicabili regole comunitarie che impongono trasparenza in materia di origine del prodotto finito e di origine degli ingredienti primari. Leggi che ci hanno aiutato tantissimo a costruire e oggi in parte a proteggere questi primati.
La verità però è che manca ancora una parte di story telling. La qualità Italiana, nata sicuramente grazie ai numerosi enti certificatori, all’attenzione delle politiche locali e alla passione dell’imprenditoria Italiana, deve però oggi spiegare alle persone questo primato indipendentemente da fattori tecnici. Le persone devono poter capire che il Made in Italy è una garanzia, che aiuta la propria azienda a ottenere traguardi migliori e in modo affidabile, oppure a migliorare la propria qualità della vita. Pensiamo al mangiare sano. Il cibo Made in Italy non solo è buono, ma fa bene. Soprattutto nell’era post pandemica, le persone faranno molta attenzione alla qualità della vita e non si potrà lesinare su un cibo che ci farà vivere meglio e più a lungo per lo stesso prodotto che, contraffatto e non sicuro, ci possa far risparmiare qualche euro.
Se sapremo spiegare e far sedimentare questi concetti nella mente delle persone, la nostra crescita sarà così forte e poderosa che potremmo raddoppiare il nostro export con impatti di decine e decine di miliardi di euro l’anno.