Una flessibilità più virtuosa

La flessibilità di bilancio, introdotta con il Patto di stabilità e crescita, è stata ideata per incentivare l’attuazione di importanti riforme strutturali da parte degli Stati Membri.

A un anno dalla sua implementazione, il CSC – Centro Studi di Confindustria ha rilevato consistenti limiti nella sua applicazione, nonché notevoli criticità:

1) la deviazione del PIL dagli obbiettivi di bilancio è consentita solo nella misura massima dello 0,5%;
2) tale deviazione è permessa per un solo anno e solo se l’anno successivo alla richiesta viene avviato il processo di recupero dalla deviazione;
3) il processo di recupero stesso è da completare entro 3 anni dalla richiesta.

Insomma, una clausola decisamente restrittiva che non incentiva quelle riforme che comportano costi superiori alla soglia consentita e soprattutto protratti negli anni (ad esempio il Jobs Act). Inoltre, il CSC sottolinea come la percezione degli effetti positivi delle riforme sulla crescita si registra solo a qualche anno dalla loro applicazione.

Pertanto imporre politiche restrittive subito dopo l’introduzione di nuove riforme, non solo rischia di azzerarne gli effetti positivi, ma contribuisce anche ad aumentare la percezione di costi sociali troppo elevanti.

Infine, le metodologie di calcolo del PIL potenziale applicate della Commissione europea, sono opinabili e richiedono consistenti aggiustamenti di bilancio, superiori a quelli calcolati da altre istituzioni come FMI o OSCE.

Dall’analisi si evince che è necessario invertire la rotta per ritrovare lo spirito riformatore della flessibilità, a partire da una maggiore condivisione dei rischi delle politiche di bilancio, in un’ottica di progressiva integrazione.

Un primo test per sperimentare questa maggiore integrazione potrebbe essere la gestione comune delle risorse per i flussi migratori, banco di prova per dimostrare l’efficacia di un Europa più unita.

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