- Data: 01 giugno 2013
- Luogo: Roma
- Organizzazione a cura di: Segreteria Nazionale GI
L’intervista al Presidente dei Giovani Imprenditori Jacopo Morelli pubblicata sul Corriere della Sera di sabato 1 giugno.
di Roberto Bagnoli
«La riforma elettorale va fatta subito, rimandarla tra un anno e mezzo è un errore clamoroso, oggi abbiamo una legge che chiama a ratificare anziché scegliere. In Parlamento non vogliamo delinquenti, certo, ma neanche improvvisati». Il presidente dei giovani di Confindustria Jacopo Morelli, a una settimana dal convegno di Santa Margherita dal titolo «Scateniamoci», prende di mira la politica che pare non cogliere la necessità di trasformare «la protesta in proposta».
Le agenzie di rating più che riforme economiche chiedono all’Italia una nuova legge elettorale. E’ d’accordo?
«E’ un nostro storico cavallo di battaglia. Infatti l’anno scorso a Santa Margherita chiamammo Enrico Letta, Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini a discuterne e loro s’impegnarono a cambiarla entro 3o giorni. Purtroppo siamo ancora qui. La prova che si tratta di una riforma strategica è in un crollo dei consumi maggiore del calo del reddito, vuol dire che si naviga a vista».
Chi impedisce una vera riforma?
«Dentro il Parlamento ci sono forze che vogliono il caos per continuare a fare i loro comodi e se il governo non decide di fare la riforma subito ma solo alla fine di un percorso costituzionale, è molto probabile che finirà in niente anche stavolta».
L’anno scorso una grafica col filo spinato, questa volta una catena spezzata. Sempre apocalittici siete.
«Realisti. Una volta si ricordava la metafora di Guido Carli dei lacci e lacciuoli. Ma quelli oggi sono diventati delle catene che ci impediscono di salpare. Restiamo convinti che possiamo riprendere di nuovo in mano i destini delle imprese ma ci vuole un governo e un sistema politico che ci diano una prospettiva di lungo termine, che renda l’Italia appetibile per gli investimenti».
Qual è la catena più importante da spezzare?
«Quella fiscale. La differenza con la Germania, ad esempio, è diventata troppo forte: le nostre aziende pagano ormai 20 punti in più di tasse pur competendo negli stessi settori come la manifattura Impossibile andare avanti. E occorre ridurre le tasse sul lavoro anche per rilanciare i consumi».
Anche lei pensa, come molti economisti, che l’Italia, come hanno fatto Francia e Spagna, debba chiedere a Bruxelles due anni di sforamento nel rapporto deficit-pil? «Dobbiamo provarci dimostrando che facciamo sul serio. Occorre tagliare le cose inutili e destinare le risorse a ricerca, istruzione, innovazione, infrastrutture. Su 800 miliardi di spesa pubblica, 600 sono incomprimibili, ma su gli altri Zoo credo si possa fare un taglio progressivo di qualche punto l’anno. Se a questo aggiungiamo una lotta più decisa all’evasione fiscale, le risorse saltano fuori».
Conferma che il vostro convegno autunnale non si farà più a Capri?
«La prossima edizione sarà a Napoli per solidarietà con la Città della Scienza colpita dall’incendio. Ma la location è da individuare»