Alternanza scuola-lavoro per aiutare i giovani

L’intervista rilasciata dal Presidente dei Giovani Imprenditori Jacopo Morelli al quotidiano Libero di venerdì 19 luglio.

di Giulia Cazzaniga

Fiorentino, trentasette anni, presidente e ad dell’azienda di famiglia “Emme Emme” nel settore dell’arredamento, Jacopo Morelli è il presidente di Giovani industriali di Confindustria. Dei politici, un mese fa, a Santa Margherita Ligure, aveva detto: “Hanno svuotato il domani di speranza e colmato il presente di angoscia”, avvertendo che “senza prospettive per il futuro, l’unica diventa la rivolta”.

Morelli, come si sta muovendo il governo Letta sull’emergenza occupazionale dei giovani? La prospettiva è quella giusta?

“La disoccupazione giovanile è un’emergenza sociale e andrebbe affrontata con mezzi ugualmente straordinari. Il decreto Giovannini ha previsto una serie di incentivi e aggiustamenti sulla flessibilità in entrata per stimolare le assunzioni ma più che una strada da percorrere, queste misure sono come dei cartelli stradali: sono necessari per orientarsi ma senza benzina non ci muoviamo di un passo”.

Cosa serve?

“Le imprese, per creare lavoro, non possono dipendere da incentivi temporanei, servono riforme strutturali. Gli imprenditori assumono solo se sanno di avere la prospettiva che esista una domanda, e sulla base di questa fanno investimenti. Quindi, benissimo quanto fatto finora ma consideriamolo un inizio, adesso occupiamoci di come rafforzare la competitività delle imprese e creare crescita duratura, partendo dalla riduzione drastica del cuneo fiscale sul lavoro che incide sui redditi netti e dall’abbattimento del costo dei fattori produttivi, energia e burocrazia in primis”.

È possibile che anche i giovani qualcosa debbano cambiare, se non altro a livello di mentalità? I dati dicono che vivono il mito della grande impresa multinazionale, come scelta ideale per il lavoro. Ma l’economia italiana è fatta da piccole e medie imprese, che faticano ad essere attrattive. Cosa ne pensa?

“Il mito della multinazionale è una cosa degli anni ’80. Oggi abbiamo piccole e medie imprese che possono essere definite multinazionali tascabili, che producono eccellenze e vendono su mercati internazionali, fanno parte di reti che valicano i confini del distretto produttivo, integrano ricerca tecnologica e capacità artigiane. Piccolo o grande non è un valore in sé, per i giovani conta molto di più poter crescere professionalmente, veder valorizzati – anche in termini retributivi – merito e capacità, avere responsabilità e soddisfazioni”.

Dovesse dare consigli a un giovane che si affaccia sul mercato del lavoro, che cosa gli direbbe, anche in base alla sua esperienza?

“Come Giovani Imprenditori abbiamo programmi concreti per aiutare i giovani a trovare il percorso giusto per crescere: centinaia di progetti in tutta Italia per l’Education e le start up, dalle competizioni fra idee imprenditoriali e creative con “Il Talento delle idee”, agli sportelli per aiutare i giovani a creare una impresa con “ImprendiSicilia”, fino alla diffusione della cultura d’impresa con “Latuaideadimpresa”, siamo presenti nelle scuole e sul territorio, coinvolgendo circa 110mila studenti”.

Proprio la scuola sembra essere un tassello mancante. Cosa cambierebbe del sistema scolastico?

“Oggi, al di là di poche eccellenze, quello che manca è un dialogo strutturato fra scuola e impresa. I nostri giovani, alla fine degli studi, escono preparati ma senza strumenti per trovare lavoro e con poche abilità professionali. È necessaria invece una continuità, come avviene con il sistema di alternanza scuola-lavoro tedesco, che prevede lo svolgimento obbligatorio di esperienze in azienda alternate allo studio in aula, con un vantaggio sia per i giovani, che già entrano nel mondo del lavoro e si creano una prima autonomia finanziaria dalla famiglia, sia per le imprese, che fanno crescere le proprie risorse umane. (…) e poi è indubbio che il sistema universitario deve fare un salto di qualità, potenziando i centri di ricerca, il multilinguismo, il ricambio generazionale nella classe docente. Dobbiamo essere attrattivi per l’estero proprio a partire dalla scuola, perché i nostri migliori cervelli smetteranno di fuggire solo quando inizieremo ad attrarne da fuori”.

Il 16,6% dei giovani vorrebbe avviare una propria attività imprenditoriale, il 14,8% avere una sua partita Iva. Diventare imprenditori in Italia oggi non è però tanto semplice.

“I dati Istat sono chiari: oggi solo l’8,5% di figli di operai diventa dirigente o imprenditore. E una società in cui la mobilità è bloccata non solo spreca risorse creative e intellettuali, ma deprime anche la domanda interna e accresce il costo dei servizi procapite. Insomma, un disastro umano e economico. I giovani devono essere messi in grado di rischiare e di emergere, di poter perdere e rialzarsi, premiando capacità e merito. Ma se su 100 euro di stipendio le tasse ne lasciano in tasca solo 45, se su 100 euro di profitti ad una start up il fisco ne preleva quasi 70, se un giovane con un contratto non a tempo indeterminato non ha nessuna protezione in caso di perdita di lavoro, diventa impossibile riuscire a farcela. Dobbiamo sbloccare il sistema. Ed ancora una volta la prima leva è fiscale: meno tasse sul lavoro e sull’impresa, anche a fronte di un sacrificio maggiore su proprietà improduttive o rendite finanziarie. Eppure ancora oggi la classe politica di spacca sull’IMU, mentre nessuno menziona Irpef, Ires e Irap, che pensano molto di più sui lavoratori e le aziende”.